A proposito di Pop....Come George Martin e i Beatles hanno fatto la storia
In un'epoca in cui basta acquistare un microfono e un paio di monitor per autopromuoversi al grado di produttore discografico, viviamo la morte di George Martin. Il celeberrimo produttore dei Beatles è deceduto l'8 marzo 2016 all'età di novanta anni. Martin non è stato certo il primo, ma forse è stato il più grande produttore discografico vissuto fino ai nostri giorni.
Personalmente accolgo la notizia della sua morte come farebbe un pianista jazz che apprende della scomparsa di Bill Evans. Se, banalmente, dovessi fare una classifica dei miei eroi, George Martin sarebbe sullo scalino più alto del podio. Egli era uno degli ultimi della vecchia generazione di produttori, quelli che arrangiavano parti per big band o per orchestra, insomma. Oggi possiamo aggirare le nostre lacune con la tecnologia, ma negli anni '60, quando non c'era il MIDI, Autotune o Pro Tools, chi lavorava ai dischi aveva solide basi classiche e una grandissima esperienza.
All'antica, ma di ampie vedute
Quando Martin iniziò a lavorare con i Beatles nel '62 non rappresentava proprio il prototipo del produttore pop. Camicia bianca, cravatta, capelli corti e volto ben rasato: era impeccabile nell'aspetto e apparentemente rigido, tanto che Ringo e i suoi compari lo avevano soprannominato "il duca di Edimburgo" e gli davano del "lei" (vale a dire che lo chiamavano "Mr Martin"). Nonostante ciò, la qualità che gli avrebbe permesso di diventare quello che è stato fu la sua capace di mettersi in discussione. Martin, durante la sua collaborazione con i Fab Four, sbagliò diverse volte. Chiunque altro al suo posto, pensando di avere a che fare con dei ragazzotti che non sapevano leggere una nota sul pentagramma, si sarebbe impuntato sulle sue decisioni, ma egli ebbe sempre l'umiltà di tornare sui propri passi e correggere il tiro.
Per esempio, secondo i suoi piani, la canzone "Love Me Do" non doveva comparire nell'album di debutto "Please Please Me" e sarebbe dovuta essere sostituita da "How Do You Do It?", un singolo confezionato a dovere dal songwriter professionista Mitch Murray, ma i Beatles sabotarono la canzone registrandola talmente male da renderla inutilizzabile. Decise, quindi, abbandonando ogni cautela, di far registrare ai ragazzi le proprie canzoni e consentire loro di scegliere le cover da inserire nell'album. Inoltre "Please Please Me" è stato registrato in appena 13 ore di live in studio su un nastro a due tracce, una dedicata agli strumenti e l'altra alle voci. Questo significava un grosso rischio commerciale e quasi nessuna possibilità di editing a causa della tecnologia dell'epoca. Un vero e proprio salto della fede!
Un innovatore
Spesso è proprio la ristrettezza di mezzi a scatenare la creatività. I vantaggi sono considerevoli:
- si è liberi dall'imbarazzo della scelta;
- si smette di pensare a quale strumento risolverà un particolare problema e, per farlo, si comincia a escogitare il modo in cui utilizzare quello che si ha.
Il cervello inizia a ragionare diversamente dal solito, arrivando a concepire soluzioni a cui non si sarebbe mai arrivati. Questo è proprio quello che è successo all'interno degli Abbey Road Studios, in un'epoca in cui i soli mezzi a disposizione erano i trasduttori (microfoni e speaker), il nastro magnetico, dei banchi di missaggio molto semplici (seppure con un gran suono) e i musicisti con i loro strumenti.
Martin permise la sperimentazione e prese parte di persona al gioco della creatività. La EMI aveva concesso ai Beatles l'accesso illimitato agli studi (non pagavano una tariffa oraria), per cui Martin e i suoi collaboratori avevano tutto il tempo che volevano per giocare.
Proprio la sperimentazione ha fatto di George Martin un innovatore. Molte tecniche di produzione utilizzate oggi sono nate anche grazie al suo contributo.
In questo articolo ve ne elencherò i più significativi.
La contaminazione con la musica classica
Anche in questo, i Beatles non furono i primi: tappeti orchestrali erano comunemente realizzati per accompagnare la musica popolare del tempo. Da "Yesterday" in poi, però, Martin iniziò una massiccia e profonda contaminazione con la musica classica, in cui l'orchestra assunse un ruolo di primo piano. L'incontro tra pop e musica classica fu, addirittura, vissuto come scontro di generazioni all'interno degli Abbey Road. Nella EMI c'erano ingegneri del suono che appartenevano alla categoria della musica classica e altri che facevano parte di quella pop: la convivenza tra loro era così difficile che nella mensa degli studi mangiavano separati. L'ingegnere del suono Geoff Emerick ha spesso raccontato che, durante le registrazioni di "A Day In The Life", era evidente lo sgomento degli orchestrali quando fu chiesto loro di improvvisare in un determinato registro del loro strumento indossando dei nasi di gomma (episodio immortalato nel video del brano), ma che, completata la take, la tensione si sciolse in un applauso scrosciante da parte di tutti i presenti in studio.
L'album "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band" testimonia la presenza prepotente dell'orchestra. È tutt'oggi raro scovare frasi barocche di tromba, ribattuti di corni in sezione e glissando di arpe in un album pop.
Non fu solo il pop ad essere contaminato dalla musica classica, ma avvenne anche il contrario. La canzone Eleanor Rigby sintetizza questa reciprocità alla perfezione. Per cominciare, il brano non fu arrangiato altro che da un ottetto di archi e, per la prima volta nella storia della discografia, una sezione di archi fu ripresa con la tecnica del close miking, tecnica comune nel pop moderno. Tradizionalmente orchestre e sezioni di archi sono riprese da pochi microfoni collocati ad una certa distanza dagli strumenti in modo da includere nella ripresa anche il riverbero della sala da concerto (per es. la tecnica denominata "Decca Tree"). Durante le registrazioni di Eleanor Rigby, invece, otto strumenti sono stati ripresi da otto microfoni posti a distanza ravvicinata. Probabilmente si è scelta questa soluzione per ottenere un suono più aggressivo e drammatico (l'arrangiamento di Eleanor Rigby fu ispirato dalla colonna sonora di Bernard Herrmann per il film "Psycho").
Sebbene il close miking fosse già stato sperimentato dal produttore Joe Meek, i Beatles contribuirono notevolmente alla diffusione di questa tecnica. I primi ad inserire un microfono all'interno della grancassa della batteria furono proprio i Fab Four. Negli anni a venire, questa diventò una tecnica standard per le produzioni pop e rock.
Il subkick
Durante le registrazioni dell'album "Paperback Writer", John Lennon mostrò insoddisfazione riguardo al suono del basso elettrico. Per ottenere un suono più corposo, Geoff Emerick, con un'intuizione geniale, decise di impiegare uno speaker come microfono e di posizionarlo davanti all'amplificatore del basso.
Infatti, data la sua dimensione e la sua massa, uno speaker connesso all'ingresso di un preamplificatore microfonico diventa a tutti gli effetti un microfono dinamico che riesce a riprendere solo le frequenze basse. Per anni, dopo l'introduzione di questa tecnica, un cono di un monitor Yamaha NS10 è stato utilizzato per dare più corpo alle grancasse, fino a che la stessa Yamaha decise di commercializzarne una versione pronta all'uso, chiamandola Subkick.
Compressione estrema
I compressori sono nati dall'esigenza di controllare o livellare la dinamica di uno strumento musicale, ma nel corso dei decenni, gli ingegneri del suono si sono accorti che questi apparecchi modificano l'inviluppo del suono. E', infatti, possibile con il loro impiego enfatizzare l'attacco di un rullante o estendere il sustain di una nota di pianoforte. I Beatles sono stati sicuramente pionieri di quest'uso dei compressori (basta ascoltare il suono di batteria nel brano "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band"). Arrivarono anche a comprimere le chitarre elettriche in modo che sembrassero organi.
L'utilizzo del Leslie come effetto speciale
I Beatles utilizzarono spesso un Leslie 122 (lo speaker rotante impiegato per dare movimento al suono degli organi Hammond) per amplificare voci e piani elettrici.
Happy Accidents e il determinismo
Lennon e i suoi compari erano soliti approfittare o andare a caccia di eventi sonori generati dal caso. Per esempio, catturarono il suono di bottiglie di vetro in risonanza nel brano "Long, Long, Long", registrarono una trasmissione radiofonica in presa diretta (e quindi con risultati imprevedibili) sul finale di "I Am The Walrus" e ripresero il feedback di chitarra nelle introduzioni dei brani "I Feel Fine" e "It's Too Much".
Benché non fossero i primi ad impiegare il feedback con intenti artistici, i Beatles introdussero questa tecnica nella musica popolare.
Il bouncing
George Martin fu un pioniere del "bouncing". Questa tecnica consiste nel riversare, in una o due tracce libere del registratore, un mix del materiale presente nelle tracce già utilizzate. Questo consente di cancellare le prime e poterle riutilizzare per nuove registrazioni.
Nel 1963, gli studi della EMI avevano a disposizione solo registratori a due tracce e perfino quando, nel 1967, la tecnologia disponibile permetteva di utilizzarne otto, Martin lavorava solo con registratori a quattro tracce, sfruttati appieno con la tecnica del bouncing.
Direct Input
Prima degli anni '60, l'unico modo in cui chitarre e bassi elettrici erano registrati era quello di microfonare l'amplificatore al quale erano collegati. Sebbene non per primi (Joe Meek e gli ingegneri della Motown li precedettero) i Beatles cominciarono a sostituire gli amplificatori e i microfoni con le "Direct Inject Box", con l'intento di ottenere suoni nuovi. La registrazione in diretta fu ripresa in seguito da molti altri artisti: uno tra molti fu Jimmy Page che adottò questa tecnica per la registrazione di "Black Dog" dei Led Zeppelin.
ADT (Artificial Double Tracking)
Quella di doppiare una parte musicale (double tracking) è una tecnica, ereditata dall'orchestrazione classica, adottata per rafforzare il suono di uno strumento. Nel pop è cosa comune doppiare la voce solista registrando due tracce della stessa parte vocale. Questo procedimento può essere molto lento ed impegnativo perché, per sortire il risultato voluto, richiede che il cantante esegua una copia quasi perfetta, in termini di timing e intonazione, della prima traccia.
Durante la produzione dell'album "Revolver", John Lennon si scoprì insofferente all'idea di dover doppiare la propria voce. L'ingegnere del suono Ken Townsend escogitò un metodo per automatizzare questo procedimento a cui, in seguito, diede il nome di Artificial Double Tracking. L'ADT consiste nel copiare la traccia originale su un secondo registratore a nastro, che subisce variazioni nella velocità di riproduzione (varispeed). Questo produce, oltre che ad un leggero delay, una modulazione di pitch. La traccia originale e la sua copia vengono infine sommate. L'ADT è una tecnica tutt'oggi utilizzata.
La sincronizzazione di più registratori a nastro
Per incrementare il numero di tracce disponibili in studio, due registratori a nastro possono essere usati contemporaneamente, ma per fare in modo che entrambi rispondano ai comandi di play, stop e rewind è necessario sincronizzarli. Oggi si usa un codice binario chiamato SMPTE, ma nel 1967, durante le registrazioni dell'orchestra di "A Day In The Life", il metodo utilizzato da Ken Townsend fu di registrare un tono puro da 50 Hz sull'ultima traccia disponibile del primo registratore ed usarlo per controllare la velocità di scorrimento del nastro della seconda macchina.
Riproduzione al contrario
La prima canzone pop a contenere una traccia vocale riprodotta al contrario fu "Rain". Il backmasking (l'inserimento all'interno di una canzone di messaggi riprodotti al contrario) fu reso popolare proprio dai Beatles. Prima di loro, tali esperimenti in contesti musicali erano stati condotti solo da compositori di musica concreta. La canzone "I'm Only Sleeping" rappresenta un avanzamento nel tentativo di padroneggiare questa tecnica: per questa canzone George Harrison compose degli interventi di chitarra solista che imparò a suonare al contrario e dopo averli registrati invertì la direzione del nastro. L'utilizzo della riproduzione al contrario coinvolse perfino alcuni video musicali, come quello di "Strawberry Fields Forever", in cui sono visibili scene recitate al contrario e "corrette" invertendo lo scorrimento della pellicola della macchina da presa.
Giocare con la velocità del nastro
George Martin si rese protagonista di un altro esempio di utilizzo creativo del nastro. Il produttore compose ed eseguì di persona un assolo di pianoforte dal carattere barocco per il brano "In My Life". Martin registrò la propria parte a velocità dimezzata, in modo che una volta riprodotto alla velocità originale, il suono del pianoforte salisse di un'ottava. Ovviamente, anche il timbro (in particolare una caratteristica del suono chiamata "formante") dello strumento venne modificato dalla diversa velocità del nastro.
Il campionamento
I Beatles inserirono spesso nelle loro canzoni spezzoni di registrazioni già esistenti. Questi campioni erano a volte utilizzati come effetti sonori e in alcuni casi come vere e proprie parti musicali realizzate ad hoc unendo tra loro pezzi di nastro magnetico (come nel caso dell'assolo di ottoni nel brano "Yellow Submarine", realizzato prendendo parti di una marcia di John Philip Sousa). Uno degli esempi più interessanti di questo campionamento analogico è apprezzabile nel brano "Being For The Benefit Of Mr. Kite". Si racconta che John Lennon, volendo conferire al brano un'atmosfera circense, si rivolse a George Martin dicendo "Voglio sentire l'odore di segatura". Martin radunò diversi nastri contenenti registrazioni di organi a vapore (strumenti utilizzati nei circhi e nelle fiere), li tagliò in parti di breve durata e li gettò in aria. In seguito, raccolse i pezzi e li unì in ordine casuale.
Martin, assieme ai Beatles, ha trasportato la musica moderna registrata, che fino ai primi anni Sessanta altro non era che la "fotografia" sonora di quello che accadeva veramente davanti ai microfoni degli studi di registrazione, nell'universo del possibile facendola uscire da quello del reale. Con i Fab Four a Abbey Road ha creato suoni che, all'epoca, non potevano essere riprodotti dal vivo, sonorità che non erano realmente mai state suonate, manipolando, tagliando, montando, ricostruendo, creando con i nastri, i registratori, i delay, i distorsori, gli echi e i riverberi.
Creando, non registrando, facendo nascere oggetti sonori prima inesistenti. Provate ancora oggi ad ascoltare Tomorrow never knows da Revolver, agosto 1966, poco meno di cinquanta anni fa: tutto quello che Lennon aveva immaginato si trasforma in suono, trovando forma in una voce raddoppiata attraverso una macchina appena creata ad Abbey Road e filtrata attraverso il Leslie di un organo Hammond per realizzare il desiderio di John di avere una voce «come quella del Dalai Lama, più migliaia di voci di monaci tibetani salmodianti sulla vetta di una montagna».
E poi, per la prima volta nella musica pop, registrazioni tagliate e messe in loop per creare uno straordinario effetto circolare, voci modificate, ritmi rallentati, strumenti manipolati, al fine di accompagnare l'ascoltatore in una straordinaria esperienza psichedelica.
Il "Quinto Beatle"
In questo articolo ho appena graffiato la superficie: non ho approfondito riguardo la grande abilità nel songwriting del duo Lennon/McCartney, sulla funzionalità delle linee di basso, sulla grande creatività di Harrison, un artista a sé probabilmente adombrato da personalità più forti, e sul ruolo dello spesso sottovalutato Starr e di come contribuì a forgiare il genere Beat.
È vero: senza considerare il contributo degli ingegneri del suono Emerick e Townsend, Martin era solo il quinto elemento di un sistema complesso, una macchina efficientissima, di cui il produttore era alla guida, ma senza la sua lungimiranza oggi la musica sarebbe molto diversa.
Thank you, Mr. Martin!
Da: sonusfactor.com e dagospia.com
Come riflessione finale metto questo articolo di Rolling Stone di Quincy Jones.
Ovviamente solo personaggi della sua caratura possono fare queste osservazioni che noi, poveri mortali, possiamo solo leggere senza commentare.
Quincy Jones la tocca piano: «I Beatles erano i peggiori musicisti al mondo»
Il produttore di "Thriller" ha rievocato alcuni aneddoti di quando ascoltò per la prima volta i Beatles appena ventenni.
Quincy Jones è uno che parla senza peli sulla lingua, quindi, quando qualche giorno fa Vulture gli ha chiesto quali sono state le prime impressioni che ha avuto dei Beatles all'epoca della British Invasion, il maestro ha detto: «Erano i peggiori musicisti al mondo. Erano dei figli di puttana che non suonavano. Paul era il peggiore bassista che io abbia mai sentito. E Ringo? Non ne parliamo nemmeno.»
È forse un modo un po' schietto per dire che nei primi anni i Fab Four erano ancora un po' acerbi tecnicamente, colpa anche della giovane età. Per Ringo però questa inesperienza secondo Jones non se n'è mai andata col tempo. Lo ha spiegato rievocando un aneddoto di quando si trovava in studio con lo storico produttore dei Beatles, George Martin, per registrare il primo album solista di Ringo: Sentimental Journey del 1970. Il processo aveva subito un rallentamento notevole perché Ringo «ci aveva messo tre ore per aggiustare quattro barre di una canzone. Non ce la faceva proprio» così, i produttori gli consigliarono di prendersi una mezzora di pausa, di rilassarsi un po' e poi tornare.
«E così fece», racconta Jones. «Noi però chiamammo Ronnie Verrell, un batterista jazz che in 15 minuti aggiustò tutto. Ringo poi tornò in studio e chiese a George di riascoltare le registrazioni. George lo accontentò e Ringo disse: "Non suona poi così male". E io gli dissi: "Certo, figlio di puttana, perché non sei tu a suonare! Bravo ragazzo, però."
Quindi nessuna critica vera, è solo un uomo della rara specie che parla sinceramente. Un uomo che, comunque, ha prodotto tre album di Michael Jackson (tra cui Thriller) e che sul camino a casa ha 28 Grammy Awards.
Da: rollingstone.it 07/02/2018