PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE SUONARE? (Breve riflessione ad usum dei giovani strumentisti)

18.04.2017

Una corrente importante della musicologia sostiene, con molte buone ragioni a mio parere, che la musica sia un singolare fenomeno di mimesi del flusso psichico (quindi anche emotivo), che si esprime attraverso un metalinguaggio non concettuale altamente formalizzato.

L'argomento è veramente molto difficile e valga qui questa semplificazione sbrigativa.
Detto in modo più semplice, la retorica del discorso musicale, ciò che le conferisce logica e senso, consiste di un vastissimo, infinito repertorio di "gesti" musicali e QUINDI psichici/espressivi che siarticolano, si combinano, si contrastano, si sovrappongono in un complesso processo dialettico checorrisponde al modo di funzionare della nostra percezione-elaborazione psichica (conscia, ma ancorpiù inconscia).

Le ricerche su come avvenga questo miracolo sono ancora a uno stadio molto primitivo, e
approcciano il problema su diversi versanti: psicologico, neurofisiologico, linguistico, filosofico, storico eccetera.
Poichè nel descrivere la musica non a caso si fa spesso uso di termini appartenenti al campo dellinguaggio quali frase, discorso, sintassi e così cia, prendiamo un esempio che mi sembra pertinente.
Come avviene che un neonato poco alla volta impari a padroneggiare gli organi della fonazione(corde vocali, laringe, palato, lingua ecc.) e ad emettere suoni articolati? Come avviene che nellasua mente in formazione si fissino le associazioni grazie alle quali impara il SIGNIFICATO di certi complessi aggregati sonori quali le parole?
Come avviene poi che inizi a combinarli autonomamente in modo creativo, strutturando le parole infrasi via via più complesse e dense di significati plurimi? Come avviene infine che, una voltaappreso a padroneggiare il linguaggio fondamentale, il non più neonato inizi a costruire una arsretorica personale, basata anche su procedimenti altamente sofisticati quali il sottinteso, l'iperbole,l'ossimoro, la similitudine, l'allusione e così via?
Dunque, così come un neonato impara a esprimere verbalmente (e muscolarmente) delle unità di senso via via sempre più complesse, analogamente un musicista impara a padroneggiare la tecnica del suo strumento e, insieme a questa, il senso del "discorso" e della retorica musicale.
Ma paradossalmente, mentre il parlante - a meno che non abbia delle turbe cognitive- è pienamente cosciente del significato del linguaggio parlato, la natura altamente sofisticata e mimetica del"linguaggio" musicale a volte sfugge (del tutto o in parte) agli stessi musicisti, che in questo caso diventano trasmettitori passivi di un "discorso" del quale non afferrano il senso, così come un altoparlante emette onde sonore (vibrazioni nell'aria) ad alta fedeltà, ma è incapace di decrittarne il significato.
Perché avviene questo paradosso?
Perché l'interpretazione musicale come tutti sappiamo deve restituire pienamente e
contemporaneamente la logica di due "livelli" o "dominî", che sono compenetrati, connaturati fin dall'inizio in modo inscindibile, ma che in genere vengono affrontati separatamente: il livello tecnico/strumentale e il livello retorico/espressivo.
Chi suona uno strumento si deve confrontare in primo luogo con la difficoltà fisica, muscolare, di un manufatto artificiale ad alta tecnologia esterno al suo corpo, che esige un esercizio non naturale ad alto grado di coordinamento muscolare e mentale.
Comprensibilmente, la difficoltà intrinseca di questo apprendimento tecnico/strumentale a volte è  così forte da impiegare tutto lo sforzo dello strumentista nel superamento di questa, e gli impediscedi concentrarsi sul livello che più conta, che dovrebbe invece essere in primo piano.
Infatti, contemporaneamente a ciò, il musicista deve far suo, introiettare psichicamente il SENSO retorico/espressivo dei singoli gesti musicali che esegue, fin dalle più minute unità di senso, per poi comprendere in profondità ( non in senso intellettuale, ma in primo luogo essenzialmente psicologico, immediato) le relazioni che i singoli insieme di gesti musicali hanno nel costruire una"frase", seguire e assecondare la direzionalità, l'intenzionalità di questa nell'economia più vasta egenerale della "forma", con tutte le sue parentesi, deviazioni, negazioni, accumulo dell'energia,dispersione, punti culminanti e punti di riposo, insomma tutta la dialettica interna. Fino adabbracciare l'intera composizione come un vasto apparato tecnico/retorico dotato di un suo significato globale, di una sua ragion d'essere originale in questo modo e non altrimenti.
Compito, come si capisce da questa descrizione estremamente sommaria, quanto mai complesso.
Ma che non può che necessariamente fondarsi su una componente iniziale del tutto istintiva e
irrazionale, che è il presupposto indispensabile senza il quale l'esecuzione musicale è pura
trasmissione impersonale come l'altoparlante sopra citato: l'intuire in modo immediato, sorgivo, l'analogia primigenia tra il gesto musicale e il gesto psichico. Quello che gli antichi chiamavano "Affetto" e i romantici "Sentimento", e a partire dal quale hanno elaborato forme - dalle più aforistiche alle più maestose- di mirabile ingegneria musicale, tra le più sofisticate e commoventi che l'Umanità abbia creato.

Renato Rivolta
03/09/16

                                                                        


Foto: Glenn Herbert Gould, pianista, compositore, clavicembalista e organista canadese. È ricordato soprattutto per le sue registrazioni di musiche di Bach, ma anche di Beethoven, Mozart e del repertorio pianistico del XX secolo

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